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Un Modo di Leggerlo

Pier


UN MODO DI LEGGERLO
 
 
4 3 5 3 4 Un modo di leggere il libro.

Leggere e’ sentire il richiamo della cittadinanza universale, rintracciare la tensione delle antiche esplorazioni per approdare e al tempo stesso allestire il viaggio della conoscenza.

Ciascun umanesimo pone, in incontro con l’Umanesimo storico e nell’immediato dell’”officina rinascimentale”, l’invalicabile volontà di investigazione di una nuova morfologia dell’immagine. Nel nostro nuovo umanesimo si assiste ad un incremento quantitativo delle forme di comunicazione ed a una proliferazione delle “verità” e “dei libri”.

Efficaci nuove strumentazioni hanno creato, oggi, altre forme di lettura. Accostarsi al libro ed alla lettura ripropone un tornare per riudire l’enigma. La risposta, pur inascoltata, non subirebbe mutamento poiché è ragione della domanda di un universale cercatore e di nuove identità.

Il frammento 19 dell’opera di Parmenide: “Così dunque secondo opinione queste cose si generarono e sono attualmente, ed in seguito si compiranno, da questo punto crescendo. Ma a tali cose gli uomini posero un nome, un segno a ciascuna.” fornisce un’eloquente chiave di interpretazione nei riguardi di un sorvegliato discorso che si interroghi intorno all’origine del gesto oracolare racchiuso nella postura e compilazione del “volumen”, ovvero del rotolo, l’antenato del libro. Il libro come sede dell’inferire del logos e’ schema, alla maniera bizantina cioè stola che ferisce e sviluppa il movimento della scrittura e dell’affabulazione.

Il frammento, l’”affrancato” e’ quindi immagine del mondo e’ agnizione nel gesto linguistico aruspice dell’essere. Il suo ultimo rappresentare ed anche il primo, identificazione escatologica, è
in una diversa concezione: l’ARCHILIBRO. Nucleo di conformata ricognizione e di “inventio” risoluta, l’ARCHILIBRO manifesta l’unita’ concettuale nell’inazione delle icone.

Fondamento dell’origine, gerarchia della lettura globale, struttura completa della “missiva” che precede, incorpora e si dispiega attraverso ogni singolo volume, pagina illimitata ed illimitabile, in ogni alfabeto e lingua: l’”archeos” libro e’ l’uno primigenio concepito come l’intrinsecamente capace di auto-ripetizione, l’”Harmonia”.

Diametro del sole è ciò che ha formato e, depositandosi, s’imprime nelle creazioni. Consente allontanamento nel “Firmamentum”, insegue ciò che è fermamente, ciò che rimane fermo, l’immutabile “per ogni guisa”.

Accompagnato da S.Bernardo, Dante, accede alla visione del perfetto: “Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna”. Tentare allora l’architettura dell’infinito, alla ricerca nella biblioteca assoluta dell’immaginario e dei “volumen” da portare nella terra del consueto, era la sfida da cogliere la dove il “fedele d’amore” aveva indicato la strada.

Cerca del Graal o della pietra filosofale di trasformazione del “nigrum” in oro, non poteva essere rifiutata se non pena di condanna, come di chi abbandoni la grande opera. Involontaria l’Opera è realizzata e concepita come intimamente partecipe di ogni sua componente, è scansione del sole del giorno socratico. “Il sapere di essa è essa stessa”. Archilibro in cui il nucleo del percorso strutturato dell’identità’ come prossemica captatio e’ nell’immanenza della scrittura, configurazione pegno della conoscenza e l’allocarsi della simultaneità.

Lettore, autore e positura (biblioteca) sono l’indennità’ dell’istante, favola vivente: struttura del globale e dell’unisono nella securitas, che è cura di sé, “...neppure divisibile, poiché e’ tutto identico”. Il logos nelle figure e nei tropi e’ l’immediato che si spazializza nei segni, e delazione del sé. Nell’archilibro tutto accade contemporaneo alla creazione, nesso comparativo e’ il prefigurare e la struttura è citazione dinamica: una, iniziale e rotazionale, all’improvviso molteplice. Strumento di un raffinato gioco intellettuale, scultura di vetro e notte, quadro e maschera del labirinto, teatro del nulla. Intenzionalità nell’atto di coraggio che disputa il possesso della sofferenza al sogno, dove il teatro è osservatorio celeste per gli sviluppi della tentazione metafisica.

Un’opera obbediente ad una volontà, esterna, allora che tenta attraverso la scrittura una coscienza di sé utilizzando il muratore ed il progettista solo come “instrumentum”, oggi più facilmente “media”. Evocazione dell’antro e del ritmo, nel libro si coniuga l’intreccio del custodire e della antica “ars aediphicatoria”, architettura dell’”idolo”. La struttura si compita come udito della forma, il nero rappresentare nel teatro, ove il personaggio gravita, come totalità: inchiostro, pagine, carta, velluto. In questa soggettualità, abside della reciprocità, il teatro e’ specchio d’altrove, squarcio di realtà, accadere assoluto, presenza d’ombra, finzione che fa l’uomo stesso la sentinella del vincolo.

Il disegno e’ strumento di linguaggio oltre che provocazione alla visione intellettiva, deve essere letto ed interrogato. Strumento di colloquio con l’atemporalità’ dell’equilibrio e’ la custodia, facciata che avvolge e richiude le stanze che scandiscono il procedere del viaggio nel soffermato. Frontespizio che ricorda l’allontanamento come passaggio e conquista nella durata della soglia. Il libro diviene così posto di confine per gli inattesi nomadi della “pars”, dove ciascuno non può essere separato dall’altro e dove tutto e’ lettura, non potendosi modificare il proposito globale senza deformare l’interazione tra la suscettibile visione del lettore e l’universalità dell’autore, “persona”. Diviene gioco o divertimento in cui il comporsi del trigramma consegna, la centralità di un’immagine non vedibile; sussurro e fruscio nello “hortus conclusus” dove il giardiniere è custode e visitatore. La “graphe’” che include e risolve la condizione della figura e del suono nella lettura, attraversa, da parte a parte il significato, giungendo così, ogni volta per la prima volta, a compimento.

Dinanzi alla soglia, il tacito “daimon” sfida, in apparente divorzio dal mondo del “dia-logos”, l’occasione del codex. In realtà, il libro inconoscibile urgenza del presente, è ciò che vincola l’iconografia del gesto: nel personaggio, inteso come l’antico richiamo dell’aperto e della trasparenza. Catturato dal mondo selenico (la Luna), dove risiede, il personaggio dal centro del libro ponendosi fra due specchi e’ assemblea inevitabile ed impossibile insieme. L’astratta opacità del riflesso traluce l’inalienabilità’ del nesso, egli sperimenta mondi di incontri immobili, di scansioni trascorse senza mutazione. Poi, ritrattosi ed abbandonato il proscenio, diviene preda su cui pesa, supremo, l’equivoco dell’”ingaggiato” dall’insondabile richiamo del ritorno.

Seducente familiarità a cui mancare: Pier penetra faticoso le pause e compone la sua cerca, è simmetria tra maschera e teatro: sdoppiamento e sovrapposizione. Armonia di una danza ritmata lungo il percorso delle stanze è l’imprevedibile cadenza, dove il medesimo, l’Altro che lo fa vuoto: Minotauro, cerca il proprio cercare. Negli interstizi dove il medesimo fruga, l’Altro sconfina ritraendosi e coprendo con l’ombra l’assenza, tocca, la luce; poi, soggiogato dalla forza della reciprocità, al culmine dello slancio si sottrae per confidarsi l’immobilità che non cessa di scomparire là dove l’originaria e l’unica possibile azione di entrambi si fonde con la conformità dell’inatteso.

Invano si attendono, PIER e Minotauro, nel rivelarsi delle figure, che sull’orlo della scena, frontali o prospettiche sembrano da sempre ed improvvisamente arrestarsi nel loro intagliare il corteo indissolubile dell’incontro.



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