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Nota a Margine

Manha hatah


NOTA A MARGINE
    
    
    
Nota a Margine.

Nel 1981 ho incontrato, a New York, Mario Fratti commediografo divenuto famoso con il musical Nine. Aveva letto il manoscritto di un mio libro: “Frammenti d’Ambra” pubblicato trent’anni dopo in “Praga è sul Mare”. Nel suo delizioso attico nella 55a, attraverso il cui soffitto di vetro si vedeva il cielo, abbiamo parlato a lungo; sornionamente sorridendo mi ha fatto capire che lì, a New York, la letteratura era come una moneta con due facce ed era bene decidere su quale faccia stare. Ho riflettuto a lungo sulla sua affermazione, poi mi sono reso conto che niente in questo mondo ha solo due facce, per quanto piccola ne esiste sempre una terza: se si vuol far correre una moneta si deve usare la terza faccia, le altre si possono solo lanciare. Certamente difficile rischioso e instabile. Dalla ricerca della terza faccia è nato, allora, questo modo di raccontare a più lati che vanno a costituire molteplici fili narrativi, presumibile tecnica dell’entrela-cement, eredità del romanzo medievale: se letteratura e realtà coincidono, non c’è possibilità di altrove. Nei fatti, dopo varie trasformazioni, la composizione del libro è stata strutturata a symphonia per due chanter e due drone e concepita per essere interpreta da una zampogna: immaginario quodlibet letterario. La zampogna, probabile discendenza dagli “auloi”, è un aerofono con quattro canne, solo due canne -chanter- sono strumento di canto (poeta sciamano) mentre le altre -drone- fanno da bordone, suonano una nota fissa indistinta che ricorda, allegoricamente, il rumore di fondo che pervade l’esistenza (mente sguardo) o anche il cosiddetto “rumore olografico”, in ogni caso, beffarda wunderkammer. Necessario evidenziare che il percorso-tempo ha ragione, metaforicamente, nell’aoristo; l’aoristo, dal sanscrito, indica una “azione”, temporalmente non determinata, concepita nella sua globalità ed è usato per indicare un avvenimento visto nella sua completezza, in opposizione alla durata segnalata dal presente: un “tempo” verbale; anche figurazione di attorcigliati accatastati credibili kairoi che attraversano la vita. Il tempo della narrazione è dunque la contemporaneità, secondo l’indirizzo di Albert Einstein: “Lo spazio e il tempo non sono condizioni in cui viviamo, ma modi in cui pensiamo”. Gli occhi del Poeta vedono la città di New York come esperienza concreta e romantica di tutte le città del passato, del presente e del futuro: unica città mentale rappresentata nel racconto da una splendida donna archetipica. Non vi è lo scorrere della storia ma descrizione di molteplicità di attimi sovrapposti e accatastati. Lo sciamano indaga, invece, nella mente del poeta la città di New York: visione di un mondo a lui alieno e per lui totalmente incomprensibile. Incontra nella mente del suo ospitante, dove provvisoriamente abita, l’uomo moderno e osserva il suo continuo assurdo delirare: doloroso e sconcertante nella sua follia. Lo sciamano prende faticosamente coscienza dell’orrore in cui la razza umana è precipitata e non riesce a farsene una ragione sino a perdere il senso della legge naturale. Similmente al Tsurezuregusa di Kenkō Hōshi il libro vuole essere nemico di ogni prevaricazione della scrittura, di ogni volontà di definire, di ogni pretesa di saldare le cose tra di loro soprattutto s’ispira al principio chiamato zuihitsu, cioè “segui il pennello”, e “In ogni cosa, qualunque essa sia, l’uniformità è sconsigliabile. L’incompletezza in un oggetto lo rende interessante, e dà l’impressione che ci sia la possibilità di perfezionarlo”. Altresì la simmetria perfetta del tappeto persiano intrappola l’anima mentre un difetto la lascia libera perché evita l’ira di Dio. La volontà espressiva, invece, fa riferimento a Vincent Van Gogh: “Voglio che la gente dica delle mie opere: sente profondamente, sente con tenerezza” mentre la narrazione s’incardina, per un verso, sulla “epimemetica”: translitterazione direttamente derivata dall’epigenetica e riferita ai “meme”-“il porto cui tendono tutti i memi è la mente umana, ma la mente umana è in se stessa un artefatto creato nel momento i cui i memi ristrutturano un cervello umano per renderlo un habitat migliore per loro stessi” Daniel Dennet- e, per altro verso, sia sulle macchine di Rube Goldberg sia su astratti calembour. Certamente, per alcune parti, equivalente ai  Caprichos rococò di Francisco José de Goya seppure, come sosteneva Ludwig Wittgenstein, "Nella vita, come nell'arte, è difficile dire qualche cosa che sia altrettanto efficace quanto il silenzio". Possibile sarcastica pantomima o maelstrom: gorgo, vortice che trascina ogni cosa nella sua stessa arché. Anche Grimorio. Forse Nigredo della Magnum Opus. Nero perfetto. Ovvero Et In Arcadia Ego. Abraxás, qui impiegato come mitraico talismano magico. Assurda lussuria dell'indignazione, ossia, come direbbe Vittoria Colonna, “Scrivo sol per sfogar l’interna doglia, / Ch’al cor mandar le luci al mondo sole”. Comunque libero dall’esito. Sarvakarmaphalatyaga.


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